Cesellatore o macchina del caffè: che professionista digitale sei?

Il copywriting è un arte lenta che procede per sottrazione e richiede studio, tempo e pazienza. Ma non tutti condividono questa visione.

Come copywriter, scrittrice e blogger lavoro con le parole e, soprattutto, con il cervello ed il tempo. Diversamente da quanto si possa pensare, un buon testo non nasce quasi mai da un’ispirazione momentanea, ma è frutto di studio, analisi e abuso del tasto “Canc”: la versione digitale del fantomatico “bianchetto” (chi ha avuto modo di usare una macchina da scrivere sa di cosa parlo).

Va da sé che, se scrivere è un lavoro di cesello e sottrazione, è naturale che non si possano sfornare articoli, headline, bodycopy o call to action a richiesta, quasi che il copywriter sia una specie di elaboratore di frasi a cui è sufficiente dare un input e aspettare qualche secondo per vedere il risultato. No, non siamo macchine del caffè!

Scusami se ti ho scritto una lettera lunga. Non ho avuto il tempo per scriverla più corta.” – Blaise Pascal

Blaise Pascal ha colto alla perfezione il concetto, quello più difficile da far comprendere a clienti, ma, ahimè, anche ad altri professionisti del digitale. Passi che un cliente, estraneo al settore, possa inizialmente pensare che scrivere sia semplice, veloce e non richieda particolari competenze, ma se sono altri colleghi ad avere questi preconcetti, allora temo ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro settore o nel modo in cui stiamo comunicando la nostra professione.

Nell’ultimo anno, purtroppo, mi è capitato troppo spesso che alcuni colleghi – per lo più Art Director, Web Master e Responsabili Marketing – mi chiedessero di fermarmi alla fine della riunione con il cliente per – cito testualmente – “sistemare le due frasi che vanno riviste” o per “scrivere le due righe che mancano”.

È più difficile scrivere un rapporto di venti righe che uno di venti pagine” – Dwight David Eisenhower

Ed è un approccio piuttosto diffuso. Più volte sono stata testimone di modifiche dal codice di un sito “sciué sciué” durante una riunione con il cliente o, ancora, alla creazione improvvisata di account su piattaforme di servizi, senza pensare a metodo, procedure o privacy.

Premetto, non credo ci sia nulla di sbagliato nel voler rassicurare un cliente, risolvere eventuali problematiche molto rapidamente, avere una propensione al “problem solving”. Mi domando, però, se alla fine l’approccio estemporaneo, “azione – reazione”, premi davvero. Ci si dimostra professionali, attenti, competenti oppure si svilisce il proprio lavoro? Il cliente lo vive come efficienza e rapidità o, piuttosto, come superficialità e sciatteria?

Per deformazione professionale, quando mi viene sottoposto un problema tendo a prendermi il tempo necessario per pensare. Anche se devo affrontare una questione all’apparenza semplice ho bisogno del mio tempo. Non sono un Fiorello del Web, non amo l’improvvisazione e penso che il mio approccio alla professione sia un segno di rispetto verso il cliente e verso me stessa.

Non inviare mai una lettera o un promemoria il giorno stesso in cui l’hai scritto. Rileggilo, ad alta voce, la mattina successiva e correggilo.” – David Ogilvy

Ebbene sì, faccio parte della squadra dei cesellatori e ne vado orgogliosa. E tu che tipo professionista sei?

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